Kenneth E Bruscia a pag. 20 del suo Definire la musicoterapia. Percorso epistemologico di una disciplina e di una professione (Roma, Gli Archetti, 1993) scrive:
«Il primo grosso problema nella definizione della musicoterapia è che essa è transdisciplinare per natura. Cioè, la musicoterapia non è una disciplina singola, isolata con limiti ben definiti e immodificabili. Piuttosto è la dinamica combinazione di molte discipline attorno a due grosse aree: la musica e la terapia.
Tra le discipline collegate alla musica includiamo:
– Psicologia della musica
– Sociologia della musica
– Antropologia della musica (Etnomusicologia)
– Filosofia della musica (Estetica)
– Biologia della musica (Fisiologia, Neurologia)
– Acustica e Psicoacustica
– Educazione musicale
– Educazione e Composizione musicale
– Teoria e Storia della musica
– Arte, Danza, Teatro, Poesia, Letteratura
Tra le discipline collegate alla terapia includiamo:
– Psicologia, Psicoterapia, Counseling, Psichiatria
– Lavoro sociale
– Arti curative
– Consulenza pastorale, spirituale
– Ricreazione terapeutica
– Medicina, Chirurgia
– Terapie occupazionali e fisiche
– Linguaggio / Terapia comunicativa
– Audiologia
– Educazione
– Educazone speciale
– Terapie di arti creative
Ciò che rende difficile definire e delimitare la musicoterapia è che è un ibrido di molte discipline.»
Appare subito chiaro come la transdisciplinarietà della musicoterapia faccia emergere una di quelle che annovero tra le problematiche principali della disciplina: quella dellʼosservazione di un “caso”, delle modalità di osservazione e comunicazione di quanto osservato: sia a colleghi musicoterapeuti che a caregivers che ad altri professionisti della relazione dʼaiuto.
Da qui (mi) sorge la domanda che dà il titolo a questo articolo “Musicoterapia: qualitativo o quantitativo?”
In realtà la dicotomia tra osservazione qualitativa e/o quantitativa è un dibattito che si svolge soprattutto nellʼambito della ricerca più che in quello dellʼosservazione di un caso. Ma vorrei spostare il dibattito in questʼultimo contesto (quello osservativo) perché è da come si imposta lʼosservazione, la stesura di quanto osservato, la possibilità di ripetere lʼosservazione con gli stessi metodi, che ci permette di COMUNICARE, ma stavolta non con lʼutente, bensì con chi dellʼutente si prende cura.
Cercando si riassumere potremmo dire che le caratteristiche principali di una osservazione qualitativa sono le seguenti:
– il suo scopo è una descrizione completa e dettagliata;
– lʼosservatore può anche non sapere ciò che sta cercando prima di iniziare lʼosservazione;
– si descrivono uno o più processi allʼinterno di un contesto specifico;
– generalmente non si assegnano frequenze (numeri) alle caratteristiche individuate durante lʼosservazione;
– fenomeni frequenti e fenomeni meno frequenti vengono trattati entrambi con la stessa attenzione;
– lʼapproccio qualitativo permette una analisi particolareggiata delle sfumature di ogni fenomeno perché lʼosservazione non è imbrigliata allʼinterno di categorie predefinite;
– lʼosservazione qualitativa si espleta perlopiù attraverso una forma diaristica, narrativa;
– questa forma diaristica può comportare ambiguità nel momento dello scambio di informazoni.
Lʼosservazione quantitativa dal canto suo è caratterizzata da
– una classificazione di caratterisitiche, un conteggio delle stesse, una costruzione di modelli statistici, allo scopo di spiegare ciò che si è osservato;
– un osservatore che sa esattamente ciò che si propone di studiare;
– una descrizione dei fatti emersi in seduta meno particolareggiata di quella relativa ad una osservazione qualitativa (in virtù di categorie osservative definite a priori);
– la classificazione e la successiva analisi dei dati raccolti durante lʼosservazione, in alcuni casi, comporta una approssimazione degli stessi;
– le sfumature tendono a non essere considerate per far rientrare il dato osservato nelle categorie predefinite dallʼosservatore.
La transdisciplinarietà della musicoterapia farebbe rispondere «entrambi». E così è a mio avviso, ma ci sono alcuni distinguo che – personalmente – credo sia doveroso fare:
– in una fase iniziale di un qualsiasi percorso musicoterapico è impossibile dedicarsi ad una osservazione quantitativa: prima di prendersi in carico un utente è bene fare più osservazioni preliminari, se possibile ecologiche (cioè nel contesto in cui lʼutente abitualmente si muove) e il più scevri possibile da condizionamenti: la non conoscenza dellʼutente impedisce al musicoterapeuta di “filtrare” i comportamenti dello stesso attraverso categorie predefinite;
– una osservazione qualitativa è essenziale perché – come già scritto sopra – raccoglie molte più sfumature di una quantitativa, ma bisogna fare attenzione a non essere giudicanti, a non farsi “inquinare dai propri pregiudizi”;
– ricordarsi che una osservazione diretta e partecipe (allʼinterno del contesto dellʼutente, interagendo con lui e le sue attività) ci fa sì vedere la persona più “da vicino”, ma ne condiziona le azioni e le risposte. Per cui, quando possibile, è bene alternarla ad una osservazione dissimulata, cioè senza esser visti dallʼutente.
– una osservazione quantitativa dʼaltro canto è utile per molteplici motivi:
• non dà spazio a fraintendimenti come potrebbe fare una narrazione;
• è di una leggibilità e consultazione più immediata di quanto non sia lʼosservazione qualitativa;
• permette la ripetibilità dellʼosservazione in maniera pressoché identica, in quanto predefinita attraverso categorie, items, percentualizzazioni ecc.;
• nellʼeventualità della presa in carico dellʼutente da parte di un altro musicoterapeuta, lʼosservazione quantitativa chiarisce i comportamenti/caratteristiche dellʼutente immediatamente (e in maniera migliore a mio avviso) di quanto non faccia una osservazione qualitativa;
• questa sua strutturazione, per numeri, per grafici (visiva potrei dire) è una modalità di raccolta dati affine ad altre figure professionali che si occupano della relazione di aiuto (medici, psicologi, psichiatri ecc), con i quali spesso ci si trova a lavorare in sinergia allʼinterno di una equipe multidisciplinare: ne consegue che una osservazione quantitativa è da questi più facilmente compresa e percepita.
La premessa da fare in questo caso è data dal grado di disabilità dellʼutente, dalla durata dellʼazione terapeutica e dal fatto che si osservi un gruppo o un singolo utente.
In un ipotetico utente con un grado di disabilita cognitiva e di linguaggio medio-grave (come lo si può trovare descritto nel DSM-5), innanzitutto chiederei se è possibile accedere alla diagnosi dellʼutente, dopodiché vorrei avere un colloquio col caregiver: in primis per conoscerci reciprocamente, poi per sottoporgli una scheda anamnestica (che ho messo a punto nel corso degli anni) per avere notizie sulle capacità residue dellʼutente e sulle sue abilità, sui suoi gusti, sul suo rapporto con la musica o il suono in generale e – soprattutto – per sapere cosa il caregiver si aspetta da una serie di interventi di musicoterapia.
Fatto questo, se lʼutente è seguito da un equipe multidisciplinare, mi confronterei con gli altri pofessionisti dellʼequipe per cercare di capire quali sono i macro ed i micro-obiettivi che, in quella specifica fase del trattamento, si sta tentado di raggiungere con quellʼutente.
A quel punto passerei alla fase di osservazione vera e propria:
– un minimo di 2 incontri di osservazione dissimulata (se possibile in contesti diversi);
– un minimo di 2 incontri di osservazione diretta e partecipe.
Le osservazioni in questa fase sarebbero di natura qualitativa: compilerei un diario, degli appunti, dei disegni, che mi permettano di fissare bene tutto quanto succede in seduta con e senza la mia presenza.
Dopodiché, nel momento in cui decidessi di prendermi in carico lʼutente, passerei anche allʼosservazione quantitativa dedicando i primi 2/3 incontri dellʼintervento vero e proprio alla compilazione di tabelle che mi permettano di vedere, più in là nel tempo, se, dove e quanto lʼutente ha ottenuto miglioramenti nella direzione voluta.
Inoltre, alla fine di ogni incontro, compilo sempre una breve scheda-questionario (anchʼesso messo a punto nel corso di varie esperienze) in cui annoto il setting utilizzato, una lista delle attività svolte in seduta, alcune mie brevi considerazioni e alcune attività che, in virtù di quanto accaduto nellʼincontro e degli obiettivi che mi ero proposto, vorrei tentare nella seduta successiva.
Un primo strumento che consiglio ed utilizzo è Strumenti per la valutazione in Musicoterapia. Neuropsichiatria dellʼInfanzia e dellʼAdolescenza-Psichiatria (Milano, Streetlib, 2016), un volume in cui la musicoterapeuta Laura Gamba (http://lauragamba-musicoterapia.blogspot.com) propone delle griglie di valutazione differenti a seconda che si tratti di una valutazione iniziale, nel breve tempo di un primo incontro, oppure di una valutazione su un percorso musicoterapico di lunga durata.
Le griglie pertengono a 4 macro-aree ognuna delle quali ha diversi items ai quali è possibile assegnare dei punteggi. Il volume inoltre contiene anche una legenda per lʼassegnazione dei punteggi nei vari items.
il plus di questo strumento, oltre allʼesser scritto in italiano, è che Laura Gamba è riuscita a modellizzare in maniera pregevole sia lʼosservazione che la valutazione con una chiarezza ed una fruibilità assoluti, in un approccio multidisciplinare che riesce a far comunicare i parametri musicali e musicoterapici con quelli medico-scientifici, senza snaturare i primi e nel pieno rispetto dei secondi (https://www.ibs.it/strumenti-per-valutazione-in-musicoterapia-libro-laura-gamba/e/9788892596764?inventoryId=103631787).
Un secondo strumento che ho utilizzato, decisamente più complesso, ma dalle potenzialità assolutamente più ampie è il protocollo IMTAP (Individualized Music Therapy Assessment Profile)* messo a punto in circa dieci anni di lavoro da sei musicoterapisti della Music Therapy Wellness Clinic presso la California State University (https://www.amazon.it/Individualized-Music-Therapy-Assessment-Profile/dp/1843108666).
Alla stesura del Protocollo hanno contribuito musicoterapeuti con differenti percorsi formativi e modelli teorici di riferimento, revisionando strumenti testistici e di valutazione standardizzati presenti sia nel campo della logopedia che dello sviluppo infantile, facendone validare i risultati anche da altre figure professionali dellʼambito educativo/riabilitativo, come psicologi, logopedisti, educatori e terapisti occupazionali.
LʼIMTAP può essere utilizzato in ambito pediatrico e adolescenziale e consiste in un processo di valutazione delle capacità di ogni utente suddivise in 10 domini, cioè ambiti di competenza: ogni dominio del Protocollo inoltre si divide in diversi sotto-domini che aiutano a definire in modo chiaro quale insieme di capacità del soggetto vengono analizzate allʼinterno del dominio più ampio.
Infine, caratteristica del Protocollo è la modularità: è possibile scegliere di valutare soltanto alcuni domini (o sotto-domini) in relazione agli obiettivi che lʼintervento si propone, alla sua durata, alla disabilità e ai prerequisiti dellʼutente.
È importante sottolineare che il protocollo IMTAP non prescrive alcuna attività specifica, né richiede lʼuso di una particolare metodologia musicoterapica: i musicoterapeuti e gli studenti di musicoterapia possono operare la valutazione utilizzando il loro personale repertorio di metodologie e attività.
* AA. VV., The Individualized Music Therapy Assessment Profile: IMTAP, Londra, Jessica Kingsley Publishers, 2007.